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L'Erboristeria nel contesto europeo


Siamo abituati a dire che l'Italia è una cosa a parte, che qui abbiamo una situazione particolare, diversa da quella degli altri paesi. Questo può essere vero fino a un certo punto e nel campo erboristico era sicuramente vero fino a qualche anno fa.

Lo sviluppo straordinario dell'erboristeria non aveva trovato corrispondenza negli altri paesi della comunità europea. In compenso però si sono sviluppati in Germania i negozi "Reformhaus" e più recentemente i "Bioladen", negozi di prodotti biologici, in Francia i "magasins de dietétique", in Inghilterra gli "health food shops" e così via.

Ma, potrebbe chiedere qualcuno, che cosa hanno a che fare con la nostra erboristeria tutti questi tipi di negozi?

Ebbene sì, una cosa in comune c'è. Le distinzioni tradizionali da un paese all'altro si stanno via via eliminando. Nelle nostre erboristerie si vendono non più solamente le erbe ma tutta una gamma di prodotti salutari. La stessa cosa succede in Germania, in Francia, in Inghilterra e negli altri paesi comunitari. I negozi health-food, oltre agli integratori vendono anche alimenti biologici, erbe, cosmetici naturali, come peraltro anche quei "magasins de dietétique" e gli "Reformhäuser".

Il punto è che l'erboristeria nostrana sta diventando via via e per forza di cose un negozio di prodotti salutistici, come esistono anche negli altri paesi. Non si limita più, in altre parole, alla sola preparazione di miscele d'erbe o alla vendita dell'etto di questa o quell'altra tisana, ancorché queste attività per alcune erboristerie siano di grande rilievo.

Erboristeria o Erborista?

L'Italia ha visto, negli ultimi anni, svariati tentativi di dare un ordinamento giuridico al settore erboristico, tutti falliti per varie ragioni, non ultima la scarsa operatività degli organi legislativi che, in passato, ha trovato espressione nella brutta abitudine del "governo per decreto".

Con le varie proposte legislative comunque si sta cercando di definire la professione dell'erborista, di dare all'erborista, cioè, una figura professionale riconosciuta dalla legge.

In questo contesto, ci sarebbero due cose fondamentali cui prestare attenzione.

Per prima, non bisogna confondere il luogo dove vengono venduti dei prodotti naturali, chiamiamoli pure salutistici, tra cui anche le erbe, con la persona che sarà autorizzata a fare miscele di erbe ed a consigliare quale erba e quale miscela sarà adatta per questo o quel problema.

Il luogo, anche se è chiamato erboristeria e se vende tra l'altro i preparati di erbe è pur sempre un negozio di prodotti salutistici, non limitato alle sole erbe. Si ricordi solo che in erboristeria troviamo anche la cosmetica naturale, talvolta dei detergenti biodegradabili, dei prodotti dell'alveare, del pane ed altri prodotti da forno integrali, degli integratori alimentari, dei prodotti dietetici, e così via.

Perciò, per l'erboristeria cercare una posizione di monopolio, per la vendita di questi prodotti, come pare potesse essere intenzione della proposta legislazione sul settore erboristico, sarebbe controproducente perché molti dei prodotti oggi in vendita quasi esclusivamente in erboristeria, potrebbero essere spinti così verso altri canali di vendita, lasciando all'erboristeria (insieme alla farmacia) le erbe e relativi derivati, ma anche un campo di azione molto più ristretto di quello attuale.

Sì, una posizione di monopolio sanzionata dalla legge è una prospettiva allettante. Però dall'altro lato può essere un fattore fortemente limitante, specialmente in un settore come quello della "salute naturale" che vede oggi uno sviluppo sempre più veloce e dei mutamenti molto profondi.

La direzione da prendere, perciò, sarebbe l'inclusività, non l'esclusività, inclusività nel senso che non si chiude, in partenza, a nessun prodotto inerente la salute naturale. Saranno importanti la serietà e la professionalità dell'erborista, ma non l'esclusività, nel senso monopolistico, dell'erboristeria, perché quest'ultima porterebbe alla nascita, ovvero alla notevole crescita di un'altro tipo di negozio del naturale, che non tratterà le erbe ma tutti gli altri prodotti salutistici, cosa che sarebbe forse negativa per l'erboristeria in quanto il settore è in crescita anche grazie a quei prodotti non strettamente erboristici, che sta trattando in aggiunta alle erbe vere e proprie.

La seconda cosa da considerare, prima di buttarsi nella mischia di una battaglia legislativa, sarà quella dello status del futuro erborista "laureato".

Si propone per l'erborista uno studio universitario di tre anni, una "laurea breve", quasi da farmacista, ma con specializzazione diretta più specificamente verso le erbe e le loro applicazioni e di conseguenza una conoscenza della materia molto più approfondita di quanto può possedere quest'ultimo.

Questo studio farebbe dell'erborista un'operatore sanitario a pieno titolo. Non un semplice negoziante, ma una persona esperta (e forse l'unica persona veramente preparata) nel consigliare il pubblico che cerca una cura naturale basata sulle erbe, quale rimedio adottare per il suo problema di salute.

Inutile a questo punto limitarsi alle formule generiche del "mantenimento delle corrette funzioni fisiologiche". Questo non è cosa da richiedere uno studio universitario di tre anni!

Se da un lato l'erborista accetta l'onere di uno studio universitario pluriennale, dall'altro deve chiedere di essere accettato non solo come venditore "muto" di prodotti erboristici ma anche come figura professionale in grado di dare consigli inerenti non solo il "mantenimento delle corrette funzioni fisiologiche" ma anche la prevenzione delle malattie ed eventuale ripristino di queste corrette funzioni, poiché non tutte le condizioni di salute non ottimali richiedono l'intervento del medico. Molto si può fare con l'alimentazione e con le erbe, e quale professionista più qualificato a dare consigli sulle erbe da adoperare che l'erborista laureato?

Il foro corretto per rivendicare un ruolo più responsabile per l'erborista sarebbe appunto la discussione legislativa da iniziare fra poco, e che speriamo porti finalmente alla legge voluta da tanti.

So che questa esposizione delle mie idee non troverà tutti d'accordo ma vorrei proporre ugualmente questi due punti alla discussione, affinché la legge che viene divenga la migliore possibile.

L'Europa che verrà . . .

Sarebbe ancora da ricordare che l'Unione Europea ha emesso un regolamento per il quale gli stati membri sono obbligati a riconoscere una formazione professionale ottenuta in un altro stato, a patto che questa formazione sia stata conseguita con uno studio di almeno tre anni. In questo senso, l'esempio italiano potrebbe portare, per forza di legge, alla graduale estensione della professione erboristica a tutta la comunità.

Per quanto riguarda l'ipotesi di un tipo di negozio esclusivista di prodotti salutari o anche solo di prodotti d'erboristeria, non è facile immaginare che altri paesi europei diano seguito ad un esempio italiano in questo senso. La determinazione di un certo canale di vendita è tradizionalmente sempre stata una prerogativa dei singoli stati, la comunità generalmente non emette regolamenti in merito. Perciò, si potrebbe dire: la persona preparata, si, il negozio esclusivista no.

Saranno gli erboristi stessi a decidere quale è la direzione che vogliono prendere, sia come titolo professionale sia come tipo di negozio.

Su una scelta di maggiore professionalità non c'è niente da eccepire, se non magari una eccessiva timidezza nel pretendere un ruolo attivo come protagonisti nel pianeta della salute pubblica.

Per quanto riguarda il punto di vendita che oggi si chiama erboristeria, la scelta è tra un ruolo protetto ma sostanzialmente chiuso e limitato alla miscelazione e vendita delle erbe e dei loro derivati, ed un ruolo aperto, senza monopolio, ma con una larga base nei bisogni della gente, come fornitore qualificato di tutti quei prodotti di cui ha bisogno la cosiddetta "prevenzione attiva" e quel settore della medicina che si chiama "naturale" o "alternativa" e talvolta "tradizionale". C'è bisogno di una gran varietà di prodotti naturali che non sono medicine, ma che rientrano lo stesso in quel concetto della salute che rapidamente si sta sviluppando e che sarà in grado di consentire notevoli risparmi per le casse dello stato e degli enti previdenziali, che di aumento della spesa sanitaria giustamente non ne vogliono più sentire.

Josef Hasslberger
Roma, luglio 1994